«È inaccettabile quello che sta facendo il governo di Netanyahu alla popolazione palestinese. E lo è altrettanto che nessuno lo fermi», denuncia lo scrittore Paco Ignacio Taibo II che il 2 giugno interviene al festival Encuentro a Castiglion del Lago in dialogo con Alessandro Barbero. E il 7 a Roma

Paco Ignacio Taibo II è tra le voci più immaginifiche e rigorose della narrativa latinoamericana contemporanea. Storico e scrittore, intreccia fiction e indagine storiografica per raccontare le lotte sociali del Messico e dell’America Latina. Da intellettuale militante dirige il Fundo de Cultura, la più importante impresa editoriale messicana, attiva in molti Paesi latinoamericani e impegnata anche nella “controinformazione”. Anche per questo ci pare importante conoscere la sua lettura della politica imperialista di Trump e del silenzio assordante che circonda il genocidio che l’esercito israeliano sta compiendo a Gaza. L’occasione è il festival Encuentro di Perugia e Castiglione del Lago dove il 2 giugno, left coordina un incontro con lui, lo storico Alessandro Barbero e l’analista di geopolitica Greta Cristini, sul tema del nuovo ordine mondiale.

Paco, la congiuntura politica internazionale che stiamo attraversando è drammatica. A cominciare dalla guerra israeliana su Gaza. Come leggi l’attualità?

Da una parte, c’è l’assurda guerra tra Ucraina e Russia, che non ha senso da nessun punto di vista. Quando mi chiedono da che parte sto, dico sempre: io sto dalla parte delle vittime. Non provo simpatia né per il governo di Putin né per quello ucraino: entrambi hanno mentalità espansioniste, militariste. Dall’altra parte, c’è il genocidio a Gaza compiuto dall’esercito israeliano, un fatto inconcepibile, vergognoso. Mi colpisce che tutto il mondo osservi senza muoversi, incapace di fermarlo.

Nei mesi scorsi hai stigmatizzato con forza chi fra gli ispanici ha votato Trump, che va alla guerra dei dazi e pensa di poter arraffare materie prime e territori di altri Paesi. Come vedi il trumpismo?

Con tutta evidenza abbiamo un problema trumpismo delirante. Trump è come un toro impazzito in un negozio di cristalli. Entra e distrugge. Cambia idea ogni giorno. Il suo motto è “Make America Great Again”, ma la sta rendendo sempre più piccola. Va contro il suo stesso elettorato a cui aveva promesso la crescita di posti di lavoro (promessa che non potrà mantenere), ma va anche contro la manodopera migrante che ha sostenuto l’agroindustria e l’edilizia negli Stati Uniti. Trump è in conflitto con lo stesso capitale internazionale, che non ha patria, né dio, né padrone, e che non ragiona in termini di nazionalismo fascistoide come lui, ma in termini di affari e libero mercato. Non che il capitale internazionale mi sia simpatico, tutt’altro. Quello che noto però è che anche loro sono furiosi con Trump. L’industria meccanica, le catene di distribuzione, la produzione di macchinari agricoli… stanno impazzendo, perché ogni giorno lui cambia direzione.

Trump è andato alla guerra anche con il Messico con dazi e politiche di espulsione di immigrati, che ne pensi di questa aggressione?

Essere un Paese confinante con gli Stati Uniti ha costretto il governo messicano a parare colpi continuamente. Se Trump caccia la manodopera migrante che lavora nei campi di fragole, cipolle ecc., danneggia i piccoli agricoltori americani e l’agroindustria. Genera un effetto boomerang. E se poi vuole mettere dazi sui pomodori messicani è fuori di testa. Si troverà contro la sua stessa classe media – quella che l’ha votato – senza ketchup per l’hamburger, o con la fetta di pomodoro sempre più sottile fino a scomparire in quelle orribili insalate che loro mangiano. Il trumpismo è un progetto aggressivo, che lancia iniziative, poi le ritira, poi le rilancia, generando crisi che costringono l’America Latina a difendersi.

L’onda nera e questo neo imperialismo procedono insieme?

No. Non si percepiscono come un tutto a livello internazionale. Sono fenomeni diversi, con origini e contraddizioni diverse. C’è però, è vero, un’onda nera che sale in molti Paesi, penso a Afd in Germania, al governo Meloni, per restare in Europa, ma penso anche a Milei in Argentina…

È preoccupante.

Sì, il sorgere un po’ ovunque di movimenti fascistoidi è preoccupante. In America Latina, il caso peruviano, l’estrema destra ecuadoriana, Milei – che è un Trump vestito da pagliaccio – fanno riflettere. Tuttavia, ci sono anche avanzamenti della sinistra progressista, penso al Frente Amplio lasciato in eredità da Pepe Mujica in Uruguay… ma anche arretramenti. Dobbiamo finalmente capire che la storia non è lineare e progressiva, ha un andamento altalenante. Questa idea di una teleologia ha infettato il marxismo dal XIX secolo: l’idea del progresso continuo è antistorica. Il problema sono le risposte che si danno nel momento specifico. Credo che molte risposte vadano trovate nella costruzione di relazioni diverse su scala regionale.

Quanto all’Italia governata da Meloni e all’Europa che si è spostata a destra?

Se mi chiedi come diavolo si possa capire l’ascesa della destra fascistoide italiana al potere… non lo capisco. E l’unica spiegazione è l’incapacità dell’Europa – fin dal patto di Monaco, maledizione! – di costruire fronti ampi popolari. L’unica cosa sensata oggi in Europa sembra essere l’esperienza del fronte popolare francese, che prova a riunire tutto l’antifascismo, non solo con contenuti contro, ma proponendo vera libertà del tempo libero, diritti dei lavoratori e dei migranti. E soprattutto appellandosi ai movimenti sociali, che sono quelli che costruiscono i veri fronti ampi. Non sono fronti di partiti, ma fronti sociali. Quindi, guardando l’Italia, si resta scoraggiati. Si vede la perdita di una cosa che mi ha sempre appassionato: la ricchezza politica della sinistra intellettuale, letteraria e culturale in senso ampio, che si è dissolta. Uno qua, uno là, tre di là. Questa incapacità di costruire un fronte ampio e un muro antifascista a partire dalla cultura è sorprendente. Poi mi dico Ok, diamogli tempo perché le cose maturino. E tutto deve nascere – tra le tante cose – anche da un movimento studentesco, che oggi è spento, privo di luce, catturato dalla frivolezza. Questa generazione di studenti delle scuole superiori e delle università è prigioniera della superficialità. In questo senso, l’esperienza messicana è significativa: costruire un fermento politico attraverso il dibattito culturale è utile.

Però il movimento studentesco pro Palestina si è alzato in piedi. Ma viene represso e tacciato di antisemitismo. In Italia gli studenti sono stati manganellati dalla polizia. Negli Usa rischiano l’espulsione dalle Università. Può diventare movimento internazionale?

Certo, è un movimento. Ma non sai mai dove porterà. C’è vitalità ma è difficile dire se reggerà, se avrà sviluppi. Dipende anche dalla congiuntura. Quello che è chiaro è che ogni fenomeno barbaro crea una reazione, un recupero della civiltà. Oggi, per un adolescente in Messico o in Italia è importante osservare almeno un po’ la realtà, per questo migliorare la qualità dell’informazione è fondamentale. Devi poter guardare negli occhi gli sfollati di Gaza per sentire il loro dolore, per accendere la sensibilità. E tornare al vecchio principio della sinistra: non c’è un “noi”. Gli altri siamo noi.

Che ruolo può giocare la cultura per un cambiamento di mentalità? Da direttore del Fondo de Cultura, la più grande istituzione editoriale del Messico (incarico riconfermato dalla presidente Claudia Sheinbaum) ti stai impegnando molto con nuove pubblicazione, anche di giovani autori, puoi dirci di più?

In media pubblichiamo un libro e mezzo al giorno. Pubblicare giovani autori è una delle battaglie strategiche, perché il Fondo de Cultura non è solo una casa editrice: oserei dire che è anche una vera e propria multinazionale di sinistra presente in tutta l’America Latina. Il Fondo ha una rete di librerie, centri culturali, di distribuzione e strutture varie in Argentina, Cile, Colombia, Paraguay, Guatemala ecc. Ha una rete nazionale di librerie in Messico, ormai ne conta un centinaio. Fra le cose più importanti abbiamo messo in piedi una rete di promozione della lettura: abbiamo circa 20mila club e sale di lettura in tutto il Paese. In più ci sono le librerie mobili, i cosiddetti librobus, che percorrono le zone dove non ci sono librerie e la distribuzione non arriva. Facciamo una politica di donazione di libri alle comunità. Insomma il Fondo è una sorta di macchina con molte mani – non due, ma tante – che agiscono simultaneamente in un progetto generale, globale, di promozione della lettura. Non è solo un progetto editoriale.

Nonostante questa mole di impegni riesci a scrivere?

Sto scrivendo un nuovo romanzo con Olguita (sorride, e noi con lui, pensando alla giornalista ventiduenne dalla schiena dritta, protagonista di Sentendo che il campo di battaglia e di Olga forever).

Negli ultimi anni hai pubblicato quattro libri che non sono stati tradotti in italiano, Ma in Italia c’è un pubblico che ti è molto affezionato, fin dalla tua biografia del Che, Senza perdere la tenerezza.

Sì ho quattro libri che non ho pubblicato in Italia negli ultimi sei anni, o giù di lì. Una delle cose che devo fare in questo prossimo viaggio è mettermi in contatto con case editrici. Ho un paio di libri che, direi, sono interessanti dal punto di vista della mia lunga relazione con i lettori italiani. E poi sto scrivendo un nuovo romanzo poliziesco.

Vorremmo vedere pubblicato in italiano anche il tuo libro autobiografico Los alegres muchachos de la lucha de clasess” (“ Gli allegri ragazzi della lotta di classe), come ha preso forma?

E’ una narrazione personale, a volte biografica, a volte collettiva, a volte corale, a volte fatta di aneddoti che avevo voglia di tracciare sulla carta per non dimenticarli. Una specie di battaglia con la memoria, che svanisce.

Encuentro con Taibo e Barbero

Con la serie dell’investigatore Belascoarán Shayne (protagonista anche di un suo recente libro) ha rinnovato il noir in chiave politica. Mentre con libri come Senza perdere la tenerezza ha raccontato figura di Che Guevara, restituendocene il lato con opere come Patria e il progetto in corso di Controstoria degli Stati Uniti, smaschera l’imperialismo Usa ridando coscienza e memoria ai popoli latini. Su left abbiamo avuto molte volte il piacere di intervistarlo, in particolare in occasione dell’uscita del El Álamo (che smonta un mito cardine della narrazione nazionalista statunitense) e poi per il suo omaggio a Salgari in chiave politica e anticolonialista, con il romanzo Ritornano le tigri della Malesia. E di nuovo in occasione dell’uscita di Patria, trilogia storica che ricostruisce in modo dettagliato, rigoroso e accessibile la storia del Messico tra il 1854 e il 1867, un periodo cruciale segnato dalla resistenza contro l’intervento francese. Anche a partire da questi fili storici si dipana il suo dialogo con Alessandro Barbero il 2 giugno al Festival Encuentro a Castiglion del Lago, moderato da Left, dalle 18,30 in Palazzo della Corgna

ROMA – PRESENTAZIONE DEL LIBRO ‘ RITORNANO LE TIGRI DELLA MALESIA ‘. NELLA FOTO SIMONA MAGGIORELLI E LO SCRITTORE PACO IGNACIO TAIBO

 

In apertura. Foto di una manifestazione Pro Gaza a margine del festival Encuentro. Foto di Giovanni Dozzini. Qui sopra Paco Iganzio Taibo II e Simona Maggiorelli